Gelosia: anche senza violenza fisica c’è maltrattamento
|
IL FATTO
Un uomo ha nel tempo messo in atto, nei confronti della compagna, oltre a ricorrenti atti di minaccia, un controllo insistente attraverso telefonate, controlli con Gps, interrogatori notturni, controllo dell’igiene personale e atteggiamenti di disprezzo e denigrazione, anche di fronte alle figlie minori.
LA SENTENZA
L’imputato veniva assolto dal giudice di merito per insussistenza del fatto, in quanto le condotte accertate venivano ricondotte a comportamenti tipici della fine di una relazione amorosa.
Il Pubblico Ministero però ricorreva in Cassazione, rilevando che tali comportamenti, se pur potenzialmente rinvenibili durante la fase finale di un rapporto, avevano in questo caso un contenuto violento e particolarmente maniacale e, come tali, si potessero ben configurare come penalmente rilevanti ai fini del reato di “maltrattamenti in famiglia”.
La Corte ha accolto il ricorso del Pubblico Ministero, evidenziando come le forme di controllo ossessivo della partner (continue telefonate e messaggi inviati dall’imputato alla persona offesa per verificare dove e con chi si trovasse accompagnati da minacce di morte) non potessero essere riduttivamente qualificate come episodi di gelosia poiché, per la loro qualità e per l’intensità dell’offesa, risultavano assolutamente idonee a provocare nella vittima un regime di vita insostenibile e mortificante. A ciò si aggiunga che, come precisato dalla Corte, ai fini della sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 codice penale, è sì necessario l’accertamento della abitualità e ripetitività della condotta lungo un periodo temporale rilevante, ma senza che tale condotta debba per forza culminare in veri ne propri atti di aggressione fisica.
La Corte ha, come si legge nell’importante sentenza n.32781 del 22 luglio 2019, valutato come penalmente rilevante “l’accumulo di violenza, anche a bassa tensione come quella che si esprime attraverso comportamenti minacciosi non eclatanti ma che denota la carica criminogena dell’agente per l’ineludibile riflesso che tale carico produce sul vissuto della vittima”.
Conseguentemente, la Corte ha annullato la sentenza di assoluzione dei giudici di merito disponendo la trasmissione degli atti alla Corte d’Appello per una rivalutazione della “gelosia ossessiva”.
IL COMMENTO
Una pronuncia rilevante questa perché, in accoglimento del ricorso del Pubblico Ministero, ha riformulato il ragionamento dei giudici di merito, che avevano ricondotto il comportamento dell’imputato a quello della “medialità che rispecchia le reazioni dell’uomo comune animato da mera gelosia verso la partner”.
Alla gelosia quindi secondo la Corte di Cassazione non va collegata nessuna attenuante né scriminante: tale sentimento infatti non può in alcun modo giustificare alcun tipo di comportamento di controllo della vita sociale e intima della persona offesa. Tali forme di controllo anzi risultano essere gravemente lesive della privacy dell’individuo e dimostrano, per la scarsa considerazione e rispetto della persona verso cui vengono poste in essere, una volontà e condotta di prevaricazione, cui spesso consegue la soggezione della vittima: ciò che proprio caratterizza il delitto di maltrattamenti in famiglia.
A maggior ragione, poi, l’importanza di questa sentenza si manifesta se si considera che in più occasioni la nostra giurisprudenza ha affermato che gli stati emotivi o passionali, pur non escludendo né diminuendo la punibilità, possono essere dal giudice considerati ai fini della concessione delle circostanze attenuanti, in quanto influiscono sulla misura della responsabilità penale: con ciò andando a creare quasi una, seppur non piena, maggior “comprensione” nei confronti del soggetto che si macchia di reati tanto odiosi quali sono quelli che si manifestano in prevaricazioni, maltrattamenti o violenze verso le persone più deboli.
avv. Anna Prandina