Le verità dello squirting |
Con lo studio prospettico “Nature and origin of “squirting” in female sexuality”, Samuel Salama e i suoi collaboratori si occupano di analizzare la natura biochimica e l’origine anatomica di quel fluido che, durante la stimolazione sessuale, viene abbondantemente rilasciato da alcune donne attraverso i genitali.
La ricerca, pubblicata sul Journal of Sexual Medicine nel 2014, ha un campione di 7 donne volontarie, maggiorenni e normopeso (forse a supporre che il BMI influenzi la secrezione vaginale), reclutate attraverso la compilazione di un questionario e che, durante la fase eccitatoria o orgasmica, regolarmente emettono un liquido genitale di volume comparabile ad un bicchiere d’acqua. Criteri di esclusione sono stati: anomalie ginecologiche, neurologiche, stato gravidico ed incontinenza urinaria dichiarata, ma non effettivamente documentata da prove urodinamiche.
Le donne sono state sottoposte ad un’ecografia pelvica dopo minzione spontanea e, in corso di stimolazione sessuale, ad una subito prima ed un’altra subito dopo lo squirting. Sono state inoltre dosate le concentrazioni di urea, creatinina, acido urico e PSA (antigene prostatico) in un campione di squirting ed in un campione di urina raccolto prima e dopo il fenomeno di emissione del liquido.
Il risultato del monitoraggio ecografico è stato concorde per tutte le pazienti: vescica vuota prima della stimolazione sessuale, piena durante e nuovamente vuota dopo l’episodio di squirting. Inoltre dal punto di vista biochimico il campione di squirting è assolutamente sovrapponibile a quello di urina, con l’aggiunta dell’antigene prostatico.
Dunque, con questo studio si dimostra che lo squirting è l’emissione involontaria di urina durante la stimolazione sessuale.
Dai dati raccolti emerge inoltre indirettamente come la capacità di squirtare possa dipendere dall’esperienza sessuale della donna, espressa come età al primo rapporto sessuale, numero di partner, numero di rapporti al mese e tempo trascorso dalla prima esperienza di squirting. Inoltre le pazienti hanno dichiarato che il ruolo del partner, se coinvolto, è fondamentale e per sei donne su sette il fenomeno è esclusivamente possibile attraverso la stimolazione digitale della parete vaginale anteriore.
La ricerca non è esente dal presentare dei limiti, macroscopicamente evidenti. Innanzitutto l’esiguità del campione: non è facile reclutare pazienti che oggettivamente squirtino secondo un criterio teorico stabilito a priori e allo stesso tempo scientificamente dimostrabile; non è inoltre da sottovalutare la diffidenza ad aderire come campione per uno studio che indaga un tabù. Anche le frequenti interruzioni della stimolazione sessuale per la misurazione dei parametri sono un fattore potenzialmente confondente il risultato, tanto che le pazienti hanno impiegato dai 25 ai 60 minuti di stimolazione, da sole o con partner, per ottenere l’emissione del fluido genitale (tempistica che supera abbondantemente il tempo medio necessario per il raggiungimento dell’orgasmo femminile, come dimostrato dallo studio Erosfem, in “Il piacere al femminile”, Bernorio R., Passigato M., FrancoAngeli 2016).
COMMENTO
Un grande pregio di questo studio è di definire l’origine e la natura dello squirting differenziandolo dal fenomeno dell’eiaculazione femminile definito invece come emissione fisiologica di fluido da parte delle ghiandole parauretrali, o di Skene, durante l’attività sessuale. Una percentuale di donne che varia dal 10 al 40 % sperimenta regolarmente o sporadicamente un’emissione di fluido dai genitali durante l’orgasmo. In passato si è a lungo dibattuto a proposito dell’esatta provenienza di questa secrezione: per alcuni autori si trattava di iper-lubrificazione, per altri era il prodotto delle ghiandole di Bartolini (che si trovano alla base delle piccole labbra) o di Skene (concentrate maggiormente nella parete anteriore della vagina).
Una delle plausibili ragioni del dibattito sta nella differenza del volume del fluido emesso che può variare dai 0.3 ml a più di 150 ml (la secrezione delle ghiandole parauretrali è di 2-4 ml già dimostrato con risonanza magnetica in altri studi), mentre vengono emessi in media 100 ml durante lo squirting. Più recentemente invece è stato dimostrato che la secrezione fuoriesce dall’uretra, non dalla vagina, e questo potrebbe innanzitutto motivare la caratteristica propulsione del getto (poiché appunto proviene da un condotto di piccolo calibro) oltre che il volume consistente.
La contiguità delle strutture anatomiche accessibili attraverso la parete vaginale anteriore e coinvolte durante la stimolazione sessuale rende difficile separare nettamente i due fenomeni, ma le quattro fasi della risposta sessuale non sono un’opinione (desiderio, eccitazione, orgasmo, risoluzione); il termine “eiaculazione” rimanda all’acme di una fase orgasmica, dunque è improprio utilizzarlo per definire l’emissione del liquido emesso dalle ghiandole vaginali per lubrificare le pareti, fenomeno che invece è tipico della fase eccitatoria.
Purtroppo ho riscontrato leggendo l’articolo che spesso i termini “fase eccitatoria” ed “orgasmo” vengono usati come sinonimi creando confusione. In quale fase della risposta sessuale si colloca dunque lo squirting? Le donne costituenti il campione dello studio hanno affermato di aver provato un orgasmo durante o immediatamente prima la considerevole emissione di liquido.
Dunque lo squirting si verifica durante l’orgasmo.
Ma allora…quanti tipi di orgasmo femminile esitono? Clitorideo, vaginale, uterino, anale, vaginale con contemporanea stimolazione clitoridea, con penetrazione, attraverso stimolazione dei genitali esterni, con squirting, con eiaculazione femminile…e si tratta di fenomeni diversi o hanno un’origine comune?
Personalmente ritengo che se lo squirting è l’espressione di un’ulteriore potenzialità orgasmica femminile, allora le conoscenze in proposito vanno ampliate e diffuse in modo da ristrutturarne l’immaginario e legittimarne la pratica. Inoltre se, come è stato effettivamente dimostrato, è un fenomeno che dipende da vescica ed uretra, allora è accessibile a tutte le donne attraverso un’adeguata stimolazione che necessariamente modifica le tempistiche del rapporto sessuale e sposta ancora una volta il focus dal coitocentrismo ad un altro tipo di sessualità possibile.
In futuro sarebbe interessante studiare se la concentrazione di PSA nello squirt dipende dal tipo di stimolazione (digitale e prevalentemente concentrata a livello della parete vaginale anteriore) creando eventualmente anche un link tra il famigerato punto G, ovvero l’area dove si concentrano maggiormente le ghiandole di Skene, e lo squirting; e ancora analizzare l’impatto psicologico e sessuologico dello squirting nella pratica, al di là del mito erotico che rappresenta (ad esempio, pare che le donne che sanno di squirtare urinino frequentemente anche durante il rapporto).