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Affiliata a: F.I.S.S. (Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica) - E.F.S. (European Federation of Sexology) - W.A.S. (World Association for Sexual Health)
Associazione Italiana Sessuologia Psicologia Applicata
A.I.S.P.A.

Presidente dr. Roberto Bernorio 
Presidente onorario prof. Willy Pasini 

 

Chi cambia sesso può scegliere il proprio nome

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL FATTO

Un soggetto di sesso maschile, intrapreso un percorso medico sanitario di cambiamento di genere,  si rivolgeva al Tribunale di Torino e in seguito alla Corte d’Appello per veder accertato non solo il mutamento dei propri caratteri sessuali - da maschili a femminili – ma anche l’annotazione sull’atto di nascita di un nuovo nome di sua scelta

 

LA SENTENZA

La persona trans vedeva in sede di merito accolta la domanda di rettificazione di sesso solo in secondo grado ma, per quanto riguardava l’assegnazione del nuovo prenome femminile voluto, veniva riconosciuta la mera possibilità di “femminilizzazione” di quello originario.
Pertanto, veniva adita la Corte di Cassazione, la quale, partendo dal presupposto che la legge 14 aprile 1982, n. 164, non detta alcun obbligo di declinazione del nome originario nell’altro genere, di fronte a un riconosciuto cambiamento di genere, e non ritenendo la volontà di parte ricorrente espressione di un desiderio di carattere superfluo (come invece valutato dalla Corte d’Appello che definiva tale desiderio “voluttuario”), ne accoglieva il ricorso con ordinanza del 17 febbraio 2020, n. 3877. Sul punto, i giudici di legittimità hanno affermato che «il riconoscimento del primario diritto alla identità sessuale, sotteso alla disposta rettificazione dell’attribuzione di sesso, rende consequenziale la rettificazione del prenome, che non va necessariamente convertito nel genere scaturente dalla rettificazione, dovendo il giudice tener conto del nuovo prenome, indicato dalla persona, pur se del tutto diverso dal prenome precedente, ove tale indicazione sia legittima e conforme al nuovo stato».
La Suprema Corte ordinava così all’Ufficiale di Stato civile di modificare l’atto di nascita del soggetto transessuale, sia sotto il profilo del genere, sia sostituendo al precedente il nome femminile da lui desiderato.

 

IL COMMENTO

Oggigiorno, il nome ha acquistato un ruolo fondamentale non solo rispetto all’identificazione della persona umana, ma anche come diritto della personalità. Infatti, esso è espressione dell’identità dell’individuo, inserendosi nel novero di quei diritti inviolabili costituzionalmente garantiti dall’articolo 2 della Costituzione essendo un simbolo che permette di distinguersi dalle altre persone in società. Anche l’articolo 3 della Costituzione dedica particolare attenzione all’identità dell’individuo, sancendo l’impegno della Repubblica nel realizzare le condizioni per il pieno sviluppo della persona umana, con l’obiettivo di raggiungere l’empireo della parità formale e sostanziale.
Tali principi cardine del nostro ordinamento si scontrano spesso con la realtà dei fatti: i diritti della personalità hanno giocato un ruolo marginale per diverso tempo. Tuttavia, la crescente esigenza di affermazione della propria personalità individuale e di palesarsi per “ciò che si è veramente” ha riportato l’attenzione su aspetti fondanti l’essenza sia dell’uomo come individuo, sia dell’uomo come membro di una collettività.
Figura emblematica di tale necessità è quella della persona transessuale: per sanare una profonda dicotomia tra il proprio io interiore e il genere di nascita, decide di intraprendere un percorso per essere ufficialmente identificato come appartenente alla categoria sessuale cui ha sempre sentito di far parte.
Sicuramente, con tale pronuncia la Cassazione coglie un dettaglio importante: quando non si frappongono ostacoli normativi o diritti di terzi alla scelta del prenome di futura identificazione, è insensato escludere tale diritto a un soggetto nei cui confronti sia stata disposta la rettificazione di sesso, perché lo si priverebbe ingiustificatamente della possibilità di sviluppare e esprimere a pieno la propria personalità, quale diritto di rilevanza costituzionale.
La scelta di un nome totalmente diverso rispetto a quello identificativo del soggetto in quella che potremmo definire la sua “vita precedente” risulta avere un significato particolarmente profondo: non solo nei confronti del medesimo che, anche nel suo caratttere identificativo formale, si dissocia da quello che “era” in precedenza, ma anche con riguardo alle terze persone che, interagendo con lui, tramite il nuovo nome non hanno e non fanno alcun richiamo a quello precedente.
Non è forse vero che spesso la forma si riflette sulla sostanza?

avv. Anna Prandina