counter stats
Affiliata a: F.I.S.S. (Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica) - E.F.S. (European Federation of Sexology) - W.A.S. (World Association for Sexual Health)
Associazione Italiana Sessuologia Psicologia Applicata
A.I.S.P.A.

Presidente dr. Roberto Bernorio 
Presidente onorario prof. Willy Pasini 

Paese che vai, sessualità che trovi

 

paesechevai1

Paese che vai, sessualità che trovi

Nella review di Athallah et al., pubblicata nel 2016 sul Journal of Sexual Medicine, viene analizzata l‘influenza della cultura nelle disfunzioni sessuali e vengono fatte delle considerazioni etiche riguardo alle mutilazioni genitali femminili e alla chirurgia estetica genitale.

Per quanto riguarda la prima tematica, gli autori sostengono che le componenti culturali e sociali spesso non vengono adeguatamente tenute in considerazione: un atteggiamento “politicamente corretto”, una mancanza di conoscenza dei diversi costumi morali o visioni troppo rigide delle disfunzioni sessuali possono ostacolare un’appropriata indagine su come il comportamento sessuale possa venire influenzato. Le credenze culturali e religiose riguardo al sesso, così come i messaggi dei media, hanno un ascendente tanto inconsapevole quanto potente: pensiamo, ad esempio, all’impatto che può avere nei casi di dispareunia l’idea che la donna, per avere una sessualità appagante e per soddisfare realmente il proprio partner, debba avere rapporti penetrativi.

Un concetto che sta acquisendo sempre più rilevanza con i massicci fenomeni di immigrazione è quello di “acculturazione”, ovvero il processo di adattamento di una persona immigrata in una nazione che possiede una cultura molto diversa da quella di origine. Questo fenomeno riguarda anche la sessualità e va pertanto tenuto in considerazione nei colloqui con individui o coppie immigrate; tuttavia, l’assenza di dati accurati riguardanti il resto del mondo complica il già non facile lavoro dei professionisti. Il principale bias nelle ricerche è l’utilizzo di standard occidentali come modelli universali senza tenere conto di quanto il contesto socioculturale influenzi il modo in cui il paziente percepisce i propri problemi sessuali e i sintomi che riporta. Altrettanto importante è tenere presente che in alcune nazioni taluni aspetti che nella nostra cultura vengono visti come disfunzionali, non solo sono considerati normali ma a volte persino ricercati: in alcune zone dell’Asia e dell’Africa, ad esempio, vengono utilizzati prodotti che asciugano la lubrificazione vaginale prodotta durante l’eccitamento, con la convinzione che questa pratica possa migliorare la soddisfazione sessuale. Anche la prevalenza di certi disturbi potrebbe essere distorta da fattori culturali: in paesi come l’Iran, l’India e la Cina è probabile che ci sia una sottostima dei disturbi legati al desiderio sessuale in quanto alle donne non è permesso provare desiderio, mentre la mancanza di orgasmo è vista come una disfunzione fisica che deve essere curata.

È quindi fondamentale chiedere nel dettaglio le caratteristiche della cultura d’origine in fase di valutazione e non solo per comprendere meglio chi ci sta di fronte, ma anche per evitare di dare indicazioni terapeutiche “culturalmente inaccettabili”.

Nella seconda parte dell’articolo si parla del fenomeno delle mutilazioni, che comprende qualunque procedura che coinvolge una parziale o totale rimozione dei genitali femminili esterni o altre lesioni per motivi culturali e non terapeutici. Se è generalmente accettato che tale pratica (che viene fatta su minori, senza il loro consenso e in condizioni igieniche pessime) sia un fenomeno da combattere, un discorso diverso deve essere fatto per la reinfibulazione. A seguito della nascita di un figlio molte donne chiedono che venga ricucita la ferita per ristabilire il loro senso di bellezza, normalità e un genitale coerente con la loro immagine corporea. Alcuni chirurghi si rifiutano di assecondarle, mentre altri ritengono che il miglior compromesso sia una parziale reinfibulazione della parte superiore della vulva. Sarebbe auspicabile, sostengono gli autori, che venisse ampliata la ricerca su questo tema, in modo da poter creare linee guida efficaci e  basate su dati solidi.

Negli ultimi decenni si è registrata un notevole aumento delle richieste per gli interventi di chirurgia

estetica genitale, sia femminile che maschile, con lo scopo di raggiungere un presunto canone estetico o migliorare la performance sessuale. Se già viene visto con perplessità un intervento su organi sani che potrebbe comprometterne la funzionalità, la carenza di studi longitudinali, la mancanza di consapevolezza di quale sia la reale variabilità individuale e il rischio di avere a che fare con pazienti affetti da disturbo dismorfofobico, rende la questione ancora più controversa.

Interessante è la riflessione, volutamente provocatoria, che accosta la chirurgia estetica genitale e le mutilazioni genitali femminili:  entrambe le procedure comportano modificazioni ai genitali per ragioni non terapeutiche e per ridurre o aumentare (a seconda delle prescrizioni culturali) le funzioni sessuali e il desiderio di accrescerne la bellezza. Come conciliare quindi la domanda con i principi cardine della medicina di beneficenza? Il dibattito è ancora in corso, per questo gli autori sottolineano l’importanza delle riflessioni e delle ricerche su questi temi.

COMMENTO

La review presa in esame spinge i professionisti che lavorano in ambito sessuologico a compiere una riflessione: siamo anche noi persone immerse in una cultura che, spesso inconsapevolmente, plasma il nostro modo di pensare; ritenersi di mentalità aperta solo perché ci si occupa di sessuologia non basta, bisogna sempre essere pronti a mettersi in discussione.

L’Italia è un paese con un alto tasso di immigrazione e questo ci obbliga a prestare attenzione al tema. È auspicabile, per il benessere dell’immigrato, che si raggiunga un compromesso tra gli aspetti della cultura di origine e quella ospitante anche nell’ambito della sessualità: un irrigidimento nelle proprie tradizioni o un’accettazione acritica delle nuove norme possono nascondere un profondo malessere. Di conseguenza, non dobbiamo accettare tutto ciò che un paziente porta in fase di valutazione per timore di non essere “politicamente corretti”, ma dobbiamo stare attenti a non imporre involontariamente la nostra idea di normalità.

Per quanto riguarda la chirurgia, è importante stimolare la riflessione su temi così controversi. Particolarmente efficace è la scelta di accostare tematiche apparentemente contrastanti per smascherare quanto ancora la nostra visione può essere filtrata da un nostro concetto di normalità. Per questo motivo è fondamentale ampliare la ricerca tenendo ben presente che ciò che dobbiamo raggiungere è il benessere della persona, anche a costo di mettere in discussione le nostre convinzioni.

 

Chiara De Bella

paesechevai2